Il vino italiano guarda a nuovi trend, comunicazione b2c e aggregazione d’impresa
Con un valore di produzione pari a 143 miliardi di euro, di cui quasi 12 miliardi sono legati al segmento del vino, il settore del wine & food in Italia vale, con i suoi 35,5 miliardi di spedizioni, l’8,3% delle esportazioni totali del Paese. È il macro dato che emerge dalla ricerca “I settori del wine & food e la sfida della ripresa” by Pambianco, insieme a Pwc, colosso dei servizi di consulenza di direzione e strategica, revisione di bilancio e consulenza legale e fiscale, presentata, ieri, a Milano, nella cornice del Palazzo della Borsa, al Wine & Food Summit n. 1, firmato proprio da Pambianco, che ha messo al centro “I settori del wine & food e la sfida della ripresa - Le risposte delle aziende, della ristorazione e del retail nel nuovo contesto competitivo”.
La ricerca si è, quindi, focalizzata sul segmento vitivinicolo, ed ha evidenziato come il nostro Paese sia il primo produttore al mondo con il 19% degli ettolitri di vino prodotti, seguito poi da Francia (18%) e Spagna (16%). Italia sul gradino più alto del podio anche in termini di ettolitri esportati, ma in seconda posizione in termini di valore, alle spalle della Francia, che ha ancora un prezzo medio di vendita al litro quasi doppio rispetto all’Italia, e quadruplo rispetto alla Spagna. Ad oggi Usa, Germania e Uk sono i nostri primi mercati esteri, e insieme valgono il 52% delle esportazioni di vino italiano. Cina e Russia, pur essendo rispettivamente il sesto e settimo Paese al mondo per consumo di vino, oggi vedono i brand del Belpaese ancora poco presenti, e rappresentano dunque una grande opportunità di sviluppo. L’ultima evidenza è legata ai canali distributivi ed ai loro cambiamenti nel corso del 2020, con la forte crescita dell’online che, pur valendo ancora il 3%, è cresciuto del 171%.
Omar Cadamuro, Director Consumer Markets PwC, ha quindi spiegato come la pandemia abbia cambiato in modo permanente le abitudini di consumo, con i nuovi trend per le industrie del comparto wine & food che possono diventare un’opportunità di sviluppo, se colte in modo tempestivo e profondo. Per il 49% degli intervistati la crescita dell’e-commerce nel settore vino continuerà oltre l’emergenza, mentre la decrescita del canale Horeca sarà permanente per il 25% del panel. Le aziende corrono ai ripari innovando servizi e prodotti, ad esempio attraverso lo sviluppo del turismo del vino, che sarà un elemento chiave per il 48% dei rispondenti. Circa la metà dei consumatori dichiara di essere più eco-friendly rispetto al passato e il 53% sceglie l’opzione più sana quando acquista generi alimentari. Completano il quadro delineato dalla ricerca la preferenza verso prodotti e aziende “locali” ed una maggior attenzione al prezzo, probabilmente a causa dell’impatto che ha avuto la pandemia sui redditi individuali.
Sergio Scornavacca, Director Industrial Market di Minsait, ha invece presentato la ricerca “Il Vino e la sua Human Customer Intimacy”, da cui è emerso che la “next normal” che stiamo vivendo ha ribadito quanto sia importante costruire un rapporto umano, quasi intimo e personalizzato tra consumatori e aziende, sia di servizio che di prodotto. Questo è un paradigma che sta toccando tutti i settori, ovviamente anche quello del vino, indipendentemente dalle dimensioni: dalla bottega sotto casa sino alle media e alla grande azienda.
Da un’analisi, condotta da Minsait e BlogMeter dei social e dei blog riguardanti i trend e gli “hot topic”, è emerso che solo nell’ultimo anno ben 668.600 messaggi hanno riguardato il settore wine. Un trend che si è mantenuto pressoché stabile nei mesi e che ha visto protagonista il canale Instagram (63%), seguito da Facebook (23%) e in modo marginale gli altri. Si parla principalmente di “rapporto con il territorio”, per i vini di Franciacorta, Prosecco, Barolo e tra le diverse occasioni di consumo (oltre 145.000 messaggi) primeggia l’aperitivo con oltre il 50% dei post, a dimostrazione del bisogno di evasione e convivialità informale che tanti consumatori hanno vissuto.
Per dare, invece, un’idea dello stato dell’arte dei sistemi di “customer care” del settore, è stata realizzata una specifica attività di mistery calling dei 40 principali player del settore wine: il 10% delle aziende ha dato risposte esaustive e convincenti, confermando in generale il quasi totale interesse verso il canale wholesale. Le conclusioni hanno portato alla proposta di un possibile “Human Customer Service Journey”, che prende spunto dai benchmark di altri mercati, fashion in primis, che, grazie all’utilizzo di opportuni processi organizzativi e strumenti digital (Crm, commerce e data integration), consentono una corretta gestione dei processi di “customer care”.
Una serie di informazioni e dati da cui hanno preso spunto gli interventi di manager del vino come Alessandro Mutinelli, presidente e Ceo Italian Wine Brands, Sergio Dagnino, Ceo Gruppo Prosit, Beniamino Garofalo, Ceo Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Ettore Nicoletto, presidente e Ceo Bertani Domains e Raffaele Boscaini Marketing Director Masi Agricola, ognuno con la sua analisi del momento, analizzando i punti di forza e quelli di debolezza del vino italiano, che pare aver virato verso aggregazioni capaci di stare con maggior forza e solidità sui mercati, senza perdere il legame con le proprie radici, ma neanche il contatto con una realtà mutevole, dinamica, in cui conquistare le nuove generazioni è sempre più difficile ed importante.
“Siamo quotati in borsa da gennaio 2015 - ricorda Alessandro Mutinelli, Presidente e Ceo Italian Wine Brands - e allora il valore di borsa del gruppo era di 65 milioni di euro, oggi siamo sopra i 400 milioni di capitalizzazione, per cui la performance è interessante. La crescita del titolo è legata alle ottime performance di IWB, che hanno convinto gli investitori ed i risparmiatori. Ci sono dei momenti in cui anche la Borsa segue le mode, e durante la pandemia il comparto del food & beverage è stato considerato un settore sicuro. Proprio in questo periodo, poi, abbiamo chiuso due acquisizioni: una a marzo e una pochi mesi fa Enoitalia, che ci ha permesso praticamente di raddoppiare i fatturati, e questo ha dato un bel boost al progetto, che comunque era la nostra aspirazione sin dallo sbarco in borsa, quando ponemmo come target il mezzo miliardo di fatturato. Non è semplice fare acquisizioni in Italia, ma siamo certi di aver fatto quelle giuste per quella che è la nostra visione del mercato. Abbiamo l’80% delle vendite sui mercati internazionali, ma pensiamo che la diversificazione dei canali commerciali sia fondamentale, dalla Gdo all’Horeca alla vendita diretta”. “Eravamo molto forti nei vini fermi e nei vini rossi - riprende Alessandro Mutinelli - ma scoperti con gli spumanti, in cui era molto forte Enoitalia: è un’acquisizione che ci ha permesso di completare il portafoglio prodotti, e garantirci così una proposta adeguata alle richieste del mercato dei consumi. I grandi gruppi di acquisto nel mondo cercano partner che possano soddisfare l’intero portafoglio prodotti che arriva dall’Italia, ed oggi possiamo soddisfare questa necessità. L’indirizzo globale è quello della premiumisation, perché il fatturato del mondo vino è cresciuto mantenendo gli stessi numeri in termini di quantità, se non inferiori, quindi diventa un nostro obiettivo anche quello di puntare al settore premium, oggi scoperto, visto che abbiamo puntato forte su prodotti più popolari”. “La parte digitale, dopo il boom del periodo di lockdown, è ancora in crescita, ma era partita già prima della pandemia. Dividiamo il business in vendita diretta e wholesale: la vendita diretta presuppone un processo articolato, con strutture proprie, ma è una parte su cui investiamo, cercando di capire su quali Paesi puntare con la distribuzione diretta - conclude Alessandro Mutinelli, presidente e Ceo Italian Wine Brands - perché non ovunque è possibile farlo. Dove si può, investiamo, in logistica e professionalità. Stiamo lavorando sui vini dealcolati, che sul mercato già ci sono, ma non così buoni, la sfida è produrre un vino senza alcol ma piacevole, perché alla fine deve conquistare il consumatore”.
Sergio Dagnino, Ceo Gruppo Prosit, partecipata da Made in Italy Fund (il fondo di Private Equity, promosso e gestito da Quadrivio & Pambianco che investe nelle eccellenze del made in Italy attive nei settori del fashion, del design, del beauty e del food & wine) sottolinea come, secondo la sua lunga esperienza (un passato in Caviro), “nel 90% dei casi l’incapacità delle aziende del vino italiano di fare il salto di qualità non dipende da fattori finanziari, ma da limiti distributivi e manageriali. La nostra strategia è quella di creare e gestire un portafogli di brand premium delle cinque Regioni più importanti e metterle in grado di sviluppare sinergie commerciali. L’individualità di ogni cantina deve rimanere, ma allo stesso tempo il fare gruppo è fondamentale. Nel mondo del vino non esiste un modello unico, specie quando si parla di aziende medio-piccole: noi acquisiamo la maggioranza dell’attività commerciale e l’attività industriale, ma vigneti e cantina restano spesso nelle mani dei proprietari, affezionati e legati alla terra. Nella gestione della produzione delle uve e dei vini, però, tante produzioni sono slegate dal cambiamento dei gusti che si registra nel mondo, di cui bisogna invece tenere conto. Purtroppo, tanti rossi storici, in larga parte, hanno un profilo ben poco internazionale, e che non tiene conto dei gusti di giovani e donne: nel rispetto dei disciplinari, questi vini hanno bisogno di evolvere”.
“Ad oggi - ricorda Sergio Dagnino - siamo in Puglia, Abruzzo e Veneto, ed entro l’anno contiamo di aggiungere Toscana e Nord Est, mentre a maggio abbiamo acquisito un distributore americano (Votto Vines, ndr, come raccontato qui da WineNews), per un fatturato complessivo del gruppo di 70 milioni di euro l’anno, ma puntiamo a superare i 90 milioni. Facendo un passo indietro, per capire da che tipo di situazione, come Paese e come settore stiano uscendo, bisogna ricordare che a marzo 2020, su tutti i giornali interazionali l’Italia era l’untore, perché la pandemia è partita da qui: una cosa che avrebbe potuto distruggerci, ma invece abbiamo mantenuto appeal enorme. Altro aspetto positivo, le eccedenze in cantina che, alla fine, non sono esplose, nonostante le premesse. Terzo aspetto positivo: si è fermata la nascita delle piccole denominazioni. Gli aspetti su cui riflettere riguardano invece il trend in continuo calo dei consumi interni, una certa apprensione per Pinot Grigio e Prosecco, perché le mode passano e si rischia la concentrazione di prodotti e una parte della normativa vitivinicola ancora ferma e incapace di governare il cambiamento in atto, specie dal punto di vista climatico. Inoltre, siccome il vino è particolarmente unbranded, bisogna usare l’italianità non come unica forza che abbiamo, ma come trampolino”, conclude il Ceo di Prosit.
Riparte dalla pandemia, dai cambiamenti che ha portato e dai suoi inevitabili strascichi anche Beniamino Garofalo, Ceo Santa Margherita Gruppo Vinicolo. “Quanto successo nel 2020, a parte la pandemia, era già in atto da qualche anno, e le aziende ovviamente hanno ben chiaro che il mondo dei consumi sta cambiando, perciò diventa fondamentale riuscire a raccontare le nostre storie alle nuove generazioni per ampliare la platea dei nostri clienti, lavorando su strategie - e sul brand - in linea con le esigenze del consumatore di oggi. Pinot Grigio Santa Margherita ha festeggiato i 60 anni, è stata una cosa pionieristica, era nato proprio per incontrare il mercato degli anni Sessanta. Un gruppo con una dimensione ed una presenza internazionale (siamo negli Usa con una nostra filiale) come il nostro (che all’estero fa il 70% del business), ci permette di essere un passo avanti e capire i trend a livello globale. Non tutti i Paesi sono uguali - ricorda Beniamino Garofalo - e la presenza sul territorio ci permette di capire come mutino i comportamenti del consumatore. Il 2020 ha accelerato alcuni processi, e oggi le aziende devono mettere il consumatore al centro, essere più orientate al b2c che al b2b. Alcuni trend siamo convinti che rimarranno anche nei prossimi anni: il digitale, che con partner come Tannico e Callmewine sono stati fondamentali non tanto per tamponare le perdite del canale Horeca, quanto come canale per comunicare al meglio con i wine lovers, sono canali che si prestano, destinati a crescere ancora. Il consumatore, stando più in casa, ha rimesso al centro il pairing, mentre i giovani che si sono affacciati al vino in pandemia lo hanno fatto con i tutorial e le video ricette. Il consumatore ha cercato il brand che gli desse sicurezza, cercando di replicare le esperienze che non poteva fare al ristorante, anche se il vino è essenzialmente convivialità, ed i ristoratori sono e saranno i nostri ambasciatori, e così tornerà ad essere”. Tornando al Pinot Grigio, “è stato uno degli asset di valore anche nel 2020: in Usa, Canada e Australia le performance sono state positive, proprio per la voglia di vivere una normalità diversa tra le mura di casa. La fortuna del Gruppo Santa Margherita - continua il Ceo Beniamino Garofalo - è di avere dieci cantine in Regioni vocate, un percorso costruito negli anni cercando di acquisire aziende che hanno vitigni che pensiamo possano essere i nuovi trend, come il Vermentino e la Lugana. Siamo presenti in 95 Paesi, ma soprattutto abbiamo la capacità di essere multicanale, e andare a coprire vari segmenti di consumo, sempre Premium o Upper Premium. E questo ci ha premiato anche nel 2020, con una flessione ad una cifra dovuta alla chiusura del canale Horeca ma con margini superiori all’anno precedente. Una riflessione da fare riguarda dimensioni aziendali, aggregazione, capire il consumatore, la necessità di non essere solo forti ma avere una leadership vera in diverse aree geografiche, e ancora le competenze, la contaminazione e la managerialità. Il vino è un comparto importante, è necessario mantenere viva la storia”. Infine, uno sguardo al presente, con “i risultati confortanti di questi primi 8 mesi, in cui tutti i brand segnano un rimbalzo enorme, che porta a fatturati migliori del 2019. Di certo, è difficile capire e prevedere il cambiamento, ma il settore del vino sta reagendo molto bene. Per la chiusura del 2021, rimango ottimista, non credo torneranno le restrizioni di un anno fa, e come Gruppo crediamo di chiudere in positivo, maggiore sul 2019, che è il giusto riferimento vista la straordinarietà del 2020. Il digitale - conclude Garofalo - è un asset importante, sono convinto che tutte le aziende del vino debbano avere queste tecnologie. Per l’e-commerce abbiamo dei partner importanti, e non credo che l’azienda possa sostituirsi agli specialisti dell’online, ma semmai far crescere la partnership e renderla win-win. Le aziende possono dare una esclusività, e allora per raggiungere il consumatore finale meglio puntare su un Wine Club che su un e-commerce proprio”.
Chi dopo 16 anni in Santa Margherita ha accettato una sfida tutta nuova è Ettore Nicoletto, presidente e Ceo di Bertani Domains, “un gruppo di medie dimensioni nel mondo del vino, ma fa parte di un Gruppo Angelini, che sviluppa 1,7 miliardi di euro di fatturato da diversi settori, e ha voluto scegliere un manager che aveva sviluppato altri progetti in altre realtà per far crescere il ramo vitivinicolo, che oggi fattura 25 milioni di euro, con l’obiettivo di quadruplicarlo. Una grande sfida, complessa, vorrei ripetere quanto fatto in 16 anni a Santa Margherita, anche se avrò meno tempo. Sono fiducioso sulla crescita organica, perché ci sono marchi dal potenziale ancora inespresso, dobbiamo sviluppare meglio la multicanalità in Italia, come ci insegna la pandemia. Rafforzandoci in quel senso i risultati si iniziano già a vedere, e poi ci sono marchi con ancora tanto da dare. Certo, non basterà, ma dà una mano concreta. Poi, dovremo allargare il perimetro, sia in senso geografico, andando in denominazioni dove non siamo presenti, sia presidiando meglio occasioni di consumo dove non siamo presenti, e penso alla categoria degli sparkling, sia Charmat che Metodo Classico. Abbiamo bisogno delle bollicine, e su questo siamo fortemente orientati. Dall’altro lato, il panorama dei potenziali target è molto rarefatto, nel senso che un gruppo come il nostro, che ha criteri di selezione molto stringenti, si trova un po’ in difficoltà, perché le opportunità sono poche e care, e poi c’è molta concorrenza, e questo rende tutto più costoso. La sfida dimensionale è molto impegnativa, ed anche la competizione è un fattore”. “In questo senso - continua Ettore Nicoletto - per acquisire nuove realtà ci sono vari percorsi: il primo è quello di individuare della realtà che sviluppano fatturati piccoli ed acquisirle piano piano creando una costellazione, un lavoro difficile, perché realtà da 4-5 milioni di euro sono spesso destrutturate, a gestione familiare, gestite in maniera semplificata, e questo complica molto l’attività di M. & A.. L’altra strada è quella di fare un’acquisizione importante, magari da 50 milioni, che richiede una dotazione finanziaria importante ma che in qualche modo ti fa fare molto rapidamente il salto dimensionale, e realtà di queste dimensioni probabilmente hanno un modello gestionale molto più semplice da integrare. Un’altra strada è il fantabusiness, modelli di business molto più leggeri in termini di asset e dimensionalmente apprezzabili (fondi come Clessidra, realtà quotate come Italian Wine Brands) si sono mossi su dimensioni importanti: la terza strada è quella di stimolare una potenziale partnership con un altro gruppo, nel caso nostro anche dimensionalmente più grande. Di fatto, ci sono tra strade, e le stiamo valutando tutte e tre, con negoziazioni, in certi casi, avanzate”. “In futuro - dice Nicoletto - vorremmo tenere fede al posizionamento Premium e Luxury, ma è evidente che nel tempo il gruppo ha sviluppato anche marchi che non orbitano su questa dimensione, e in questo senso per Bertani Domains potrebbe esistere anche un tema legato alle dismissioni, e non solo alle acquisizioni, per dare una maggiore coerenza al portfolio. Abbiamo un’idea molto precisa, per questo non è facile trovare i giusti obiettivi. Uno dei problemi che affligge il settore vino è il passaggio generazionale, perché spesso le famiglie si trovano in difficoltà: sotto questo aspetto offriamo la possibilità di rimanere nell’equity, anche con una percentuale di sostanza, per poter beneficiare del nostro apporto, è sempre utile che il nome della famiglia resti in azienda”.
Infine, Raffaele Boscaini, Marketing Director di Masi Agricola, che si concentra sulla forza della marca, “che ha fatto sì che anche nella grande difficoltà del 2020 si siano mantenute relazioni con tutti i protagonisti della filiera, fino ai consumatori, che alla ripartenza hanno agito come una molla, dando uno scatto molto importante. Molti dogmi sono stati rotti, come la differenza di prodotto sui diversi canali, si va verso una contaminazione positiva, che alla fine è un servizio per il consumatore finale. La nostra filiera è interrotta da tanti operatori, e il nostro messaggio spesso arriva totalmente distorto, per questo nasce la Masi Wine Experience, luoghi di irraggiamento di questo messaggio (ristoranti e wine bar), fisici, che si aggiungono alle nostre tenute, aperte e visitabili, e ovviamente ai social, per creare una interazione diretta, senza dimenticare che ristoratori e distributori sono continuamente coinvolti, ad ogni livello della filiera, anche comunicativa”. “In pandemia abbiamo curato moltissimo i rapporti con i ristoratori - ricorda Boscaini - che abbiamo sostenuto. Abbiamo l’idea di aprire un wine bar all’anno, ovviamente le località sono quelle dove Masi è già presente in maniera solida, oppure dove dobbiamo crescere molto. L’Investor Club, invece, nasce dall’osservazione di come, dopo lo sbarco in Borsa, i nostri titoli siano finiti in mano a investitori privati, e questa è una maniera di ingaggiare gli appassionati, cui abbiamo dato le chiavi dell’azienda, degli spazi, delle cene a tema, gli acquisti en primeur, dei momenti solo per loro. Ad oggi sono un migliaio, che posseggono 1.000 azioni di Masi”. “Il trend, rispettando le nostre origini, è quello di rispondere alla domanda di mercato, pensando anche a vini adatti ai più giovani, a chi si approccia per la prima volta al vino, per questo nasce il Fresco di Masi, un vino senza invecchiamento, senza appassimento, senza filtrazione, poco alcolico e con un packaging sostenibile, aperto ad un consumo più libero. In 3-4 anni - conclude Raffaele Boscaini - vorremmo arrivare a un milione di bottiglie, che arrivano sullo scaffale a poco più di 10 euro a bottiglia. Non ho ancora un’opinione definita sul vino dealcolato, ma per adesso non ho mai assaggiato nulla di buono.
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