Robotica, intelligenza artificiale e automazione
L’industria digitale
Oggi i grandi colossi dell’industria digitale che rispondono all’acronimo “GAFAM” (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) sono tra i maggiori protagonisti di quella che abbiamo conosciuto come “new economy”, salvo passare nell’arco di pochi anni ad essere economia tout court, col coinvolgimento del mondo di Internet e delle tecnologie dell’informazione (ICT).
Non è un caso, quindi, che la presenza di questi colossi informatici abbia già prodotto, e continuerà a produrre, cambiamenti radicali nel mondo del lavoro: sulla sua organizzazione e sulla sua stessa concezione. Oggi si parla di Industria 4.0 per fare riferimento ai nuovi sistemi produttivi caratterizzati da tecnologie all’avanguardia, per non dire avveniristiche, che si basano sui c.d. sistemi ciberfisici (CPS), e cioè su sistemi informatici che interagiscono con i processi fisici in cui operano e con altri sistemi CPS, che potenzialmente possono riguardare qualunque settore produttivo.
Nel contesto di quella che viene definita “quarta rivoluzione industriale”[1], la robotica funziona spesso da ponte tra il digitale e la materiale produzione di beni e servizi. Paradigmatici sono esempi quali Amazon, che oltre ad essere leader nel commercio on line, utilizza per la gestione dei propri magazzini sofisticati sistemi automatici, che essa stessa produce, oppure il caso delle stampe 3D utilizzate in campo dentistico per riprodurre l’impronta dentale ottenuta da disegni digitali.
Non poche sono le preoccupazioni generate, soprattutto tra gli studiosi, dall’avvento dell’automazione. Già negli anni ’30 l’economista John Maynard Keynes, identificò con lucidità le problematiche derivanti dall’avvento di tecnologie sempre più avanzate, utilizzando l’evocativa definizione di “disoccupazione tecnologica”, che nasce dal fatto che scopriamo nuovi modi per risparmiare lavoro a una velocità superiore di quella alla quale scopriamo nuovi modi per impiegare il lavoro[2]. La descrizione di tali fenomeni la ritroviamo, attualizzata, in Bauman, il quale ha fatto notare come «nel mondo delle grandi industrie, oggi progresso significa innanzitutto “riduzione del personale”, mentre sviluppo tecnologico significa sostituzione del lavoro vivo con sistemi informatici». In altre parole secondo Bauman la ”Crescita economica” e l’aumento dell'occupazione sono di fatto in conflitto tra loro e il progresso tecnologico si misura in base alla sostituzione o all'eliminazione del lavoro[3].
In questo scenario socio-economico, il diritto del lavoro, per rinnovarsi, deve aprirsi al dialogo con altre discipline e con altri mondi: a partire dal tentativo di comprendere la tecnologia che oggi è all’origine dei nuovi processi produttivi, passando per la geografia economica, la pedagogia, la sociologia, l'antropologia, che risultano fondamentali per progettare economie reticolari e moderne catene di valore, nonché per garantire quei percorsi formativi e di apprendimento necessari per essere occupabili in un mercato mutevole.
La tecnologia oggi
La tecnologia odierna è in grado di realizzare obiettivi che fino poco tempo fa sembravano impensabili in moltissimi settori come per esempio nel campo della salute, delle stampe 3D, della logistica o dei beni di consumo.
Nel campo della salute la tecnologia odierna monitora quanto dormiamo, quanto mangiamo, quante calorie consumiamo; applicata alla medicina, consentirà, sempre più, di prevenire rischi di malattie e non solo curarle. Nella microchirurgia, per esempio: nel 2013 v’erano 523.000 metodi chirurgici (la maggioranza presenti nelle aree di ginecologia ed urologia) su un’installazione base di oltre 3.000 macchine nel mondo (oltre 2.000 negli Stati Uniti), rispetto ai soli 1.000 presenti nel mondo nel 2000[4]. Si pensi ancora alla tecnologia nella cura domestica, in cui macchinari possono essere usati per assistere pazienti e anziani nelle loro case, limitando così il tempo di cura sanitaria a domicilio ed accorciando il tempo di degenza ospedaliera dei pazienti che possono essere monitorati da remoto. In modo crescente i robot possono essere usati per portare pazienti anziani a letto, al bagno o su una sedia ed assisterli nella preparazione dei pasti, alimentando pazienti e monitorando i loro segnali vitali[5].
Nel campo delle stampe 3D possono essere costruiti oggetti, superando così i classici modellini. I diversi vantaggi sono i seguenti: le stampanti 3D richiedono meno costi, tempo, ed esperti per creare nuovi oggetti. Con la stampa 3D da ora in poi si potrà collegare il mondo digitale al mondo reale manifatturiero, riducendo il fabbisogno di manodopera. La tecnologia delle stampe 3D è stata recentemente estesa alla produzione di oggetti di plastica, vetro, carta, ceramica ed anche metallo e la crescente richiesta di oggetti ha ridotto drasticamente le dimensioni ed i costi delle stampanti 3D favorendone la loro diffusione, con stampanti ora disponibili a soli $ 500 e capaci di stare comodamente su un banco di lavoro.
Nel campo della logistica esistono già autoveicoli in grado di “auto-guidarsi” (la Google self-driving è stata brevettata negli USA nel 2012). Si pensi ancora alla ‘Amazon Robotics’ (già KIVA), acquisita nel 2012, con cui Amazon ha costruito più di 15.000 robot per la gestione dei propri centri.
Nel campo dei beni di consumo la tecnologia 4.0 aiuta ad incrementare la produttività con casse self-service e l’automazione dei Fast food. Recentemente, McDonalds ha iniziato ad installare macchinari touch screens in Europa, eliminando la necessità di prendere manualmente gli ordini. Ma non solo, i macchinari possono assemblare un hamburger con tutti gli ingredienti in 10 secondi[6]. A San Francisco è stato aperto un caffè completamente automatizzato, il ‘Cafè X’, dove le macchine fanno tutto, con prodotti offerti a prezzi più bassi, proprio grazie al risparmio sul costo della forza lavoro (degli umani)[7].
Le ripercussioni sul mondo del lavoro sono notevoli e sono evidenti i risparmi sui costi di manodopera che le nuove tecnologie possono offrire[8].
Problematiche occupazionali nascenti dalla robotizzazione e nuove disuguaglianze
Le stime di Carl Benedikt Frey & Michael Osborne, nel sopracitato studio “Technology at work, The Future of Innovation and Employment”, prevedono l’automazione di circa il 47% delle professioni negli USA nei decenni a venire, con la conseguenza che coloro che operano in questi settori rischieranno di non trovare più posto nel mondo del lavoro. Più ottimisti sono gli studi OCSE, che prevedono la perdita solo dell’8-10% di posti di lavoro a causa dell'ascesa della tecnologia e dell’automatizzazione, mentre 7 lavoratori su 10 dovranno cambiare il loro modo di lavorare per l'ascesa della tecnologia.
La conseguenza più significativa della rivoluzione economica e del lavoro non riguarderà tanto o soltanto la perdita di posti di lavoro, quanto e soprattutto la disuguaglianza che si andrà a creare tra lavoratori altamente specializzati, o comunque in possesso di buone competenze in materia di tecnologia digitale, che saranno favoriti e premiati, e la maggioranza dei lavoratori impiegati in lavori a bassa qualifica, temporanei ed instabili, alle prese con un alto tasso di precarietà. Il progresso tecnico e la rivoluzione digitale saranno considerate “skill-based”, nel senso che saranno maggiormente remunerate le persone con competenze più elevate, relegando i lavoratori a bassa qualifica a lavori più precari e a bassa remunerazione[9]. In altre parole, la capacità di adattamento, la flessibilità sul luogo di lavoro e la capacità di apprendimento[10] saranno “meta-competenze”, senza le quali il processo di innovazione della manifattura digitale non sarà in grado di svolgersi appieno[11].
In tale contesto, diventerà cruciale la possibilità per i lavoratori di ricevere una formazione di base di elevata qualità e in grado di fare acquisire loro la capacità di apprendere durante l’intera vita lavorativa[12]. Il problema, quindi, diventa quello di comprendere se i soggetti più deboli sapranno indirizzare la propria vita nella giusta direzione[13]. Xavier Emmanuelli ha osservato in proposito che la povertà “tradizionale”, ereditata dal passato, e tramandata da una generazione all'altra, è destinata a persistere, nonostante la poderosa crescita economica nei paesi industrializzati e ad essa si è aggiunto un nuovo fenomeno, del tutto peculiare della nostra epoca di rapidi cambiamenti, e cioè il concatenarsi di vicende che gettano intere famiglie in una situazione di miseria a causa della perdita del lavoro, a cui segue la perdita dell’alloggio, l’impossibilità di accesso al credito, crisi di coppia, et cetera. Tutto ciò porta all’emarginazione, all’isolamento dalla rete di scambi e delle interazioni sociali, nonché all’incapacità di programmare il proprio futuro[14].
Appare, quindi, di vitale importanza affrontare e risolvere il problema della redistribuzione della ricchezza, posto che oggi la disuguaglianza fra le classi sociali procede con una rapidità incessante[15].
La distanza fra le classi sociali aumenta con la crescita economica e la povertà è aggravata dalla recessione e dalla stagnazione. La «crescita economica», comunque intesa, va oggi di pari passo con la sostituzione del lavoro fisso con quello «flessibile» e della sicurezza con la precarietà, ossia con contratti a termine e interinali, oltre che con ristrutturazioni e razionalizzazioni che si riducono in definitiva a una diminuzione dei livelli di occupazione. La migliore dimostrazione di tale interrelazione è l'Inghilterra post-thatcheriana, battistrada di questo nuovo corso ed esaltata come il miglior esempio del suo successo nel mondo occidentale, diventata anche il paese afflitto dalla peggior povertà rispetto a tutti quelli più avanzati del mondo, come rileva il "Rapporto sullo sviluppo umano" delle Nazioni Unite secondo cui circa un quarto della popolazione anziana in Gran Bretagna vive in condizioni miserabili: il che rappresenta una percentuale cinque volte superiore a quella dell'Italia «economicamente in affanno» e tre volte superiore a quella dell'Irlanda «arretrata». Un quinto dei bambini inglesi – ossia il doppio che a Taiwan o in Italia e sei volte di più che in Finlandia - vive in stato di indigenza. Complessivamente, il numero di poveri a basso reddito è balzato a circa il 60 per cento sotto il governo (della signora Thatcher)[16].
Sono ben visibili i problemi sociali che si dovranno affrontare per effetto dell’innovazione tecnologica, che causerà la perdita di molti posti di lavoro e vedrà molte persone in difficoltà nel ricollocarsi nei nuovi lavori, con un forte incremento del numero di lavoratori precari.
Prospettive e soluzioni future
Lo sviluppo tecnologico in atto non può essere fermato, ma può almeno essere governato. Il problema innanzi al quale ci troviamo riguarda anzitutto il legislatore statale, il quale su tematiche importanti si rivela sempre più ‘neutrale’. Ma la scienza non è mai stata ‘neutrale’ e i suoi risultati dipendono, unicamente, da come viene impiegata dagli esseri umani.
L’obiettivo, allora, dovrebbe essere quello di indirizzare il progresso tecnologico verso gli obiettivi più ‘alti’, mettendo ‘la persona’ al centro dell’attenzione.
Si deve, allora, partire dalla funzione storica del diritto del lavoro come diritto assiologicamente orientato alla promozione e tutela del lavoro.
Mettere al centro la persona significa per la robotica essere strumento di aiuto e di supporto alla disabilità, sia a casa sia sul lavoro. Ma la preoccupante neutralità odierna dello Stato su tematiche che riguardano la persona porta con sé il pericolo di una ‘anomia’, e quindi che l’essere umano sia equiparato alla macchina.
Il caso delle videocamere installate da Amazon nei furgoni degli autisti con trattamento dei relativi dati biometrici[17] per associarli a un ID ed incrementare (così dice l’azienda) il livello di sicurezza durante la guida, porta con sé un’immagine emblematica ed inquietante che richiama alla mente il Leviatano di Hobbes. Senza addentrarsi nel tema del possibile utilizzo di tali dati (saranno trasmessi a una centrale dati relativi a quantità o qualità della performance individuale??)[18], il rischio è già sotto gli occhi di tutti: esseri umani facilmente manipolabili attraverso i loro stessi comportamenti, che vengono economicamente sfruttati nel mercato dei comportamenti futuri[19].
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[1] La prima rivoluzione industriale ebbe inizio sul finire del XVIII secolo in Inghilterra ed era caratterizzata dall’utilizzo dell’energia prodotta dal vapore per alimentare le macchine; la seconda coinvolse l’Europa e il Nord America a partire dalla fine del 1800 ed ebbe come elementi centrali l’introduzione dell’energia elettrica nei processi produttivi, lo sviluppo della produzione in massa, l’utilizzo di prodotti chimici e del petrolio; la terza rivoluzione industriale iniziò negli Stati Uniti, negli anni ’50 del secolo scorso, con lo sviluppo dell’informatica e dell’elettronica.
[2] J. M. Keynes, Economic Possibilities for our Grandchildren, conferenza tenuta a Madrid nel giugno 1930, ora nel nono volume dei suoi Collected Writings intitolato Essays in Persuasion, in La fine del laissez faire ed altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
[3] Z. Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà, Edizioni, Troina (En) 2004, p. 98.
[4] C.B. Frey e M. Osborne, ”TECHNOLOGY AT WORK The Future of Innovation and Employment”, 2015, p. 38; E. Brynjolfsson, A. Mcafee, The second machine age, W.W. Norton & Company, 2014.
[5] Frey e Osborne, op. cit, p. 38 ss.
[6] Frey e Osborne, op. cit, p. 39.
[7] Con specifico riguardo al tema dell'Industria 4.0 e della robotica all'interno dei contesti aziendali, v. L. Greco-A. Mantelero, Industria 4.0, robotica e privacy-by-design, in Dir. inf., 2018, p. 875 ss. Per un approfondimento sui risvolti giuslavoristici della robotica, si rinvia a F. D'Ovidio, Il lavoro che verrà, in Riv. giur. lav., 2016, I, p. 708 ss.; F. Seghezzi, Come cambia il lavoro nell'Industry 4.0?, in Adapt WP, n. 172/2015; Id., Lavoro e relazioni industriali nell'Industry 4.0, in Dir. rel. ind., 2016/1, p. 178 ss.; A. Belloni, Uberization. Il potere globale della disintermediazione, Milano, Egea, 2017; M. Brollo, Tecnologie digitali e nuove professionalità, in Dir. rel. ind., 2019/2, p. 468 ss.
[8] P. Ichino, Le conseguenze dell'innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, in Riv. dir. lav., 2017, p. 525.
[9] E.A. Hartmann-M. Bovenschulte, Skills Needs Analysis for “Industry 4.0” Based on Roadmaps for Smart Systems, in Using Technology Foresights for Identifying Future Skills Needs, Skolkovo Moscow School of Management, ILO, 2013, p. 24 ss.
[10] F. Seghezzi, La nuova grande trasformazione. Lavoro e persona nella quarta rivoluzione industriale, in Adapt University Press, 2017, p. 147 ss.
[11] G. Bertagna, Apprendistato e formazione in impresa, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico dell'apprendistato e le nuove regole sui tirocini. Commentario al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, e all'articolo 11 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modifiche nella legge 14 settembre 2011, n. 148, Milano, 2011, p. 105 ss.; G. Bertagna, Scuola e lavoro tra formazione e impresa, in G. Bertagna (a cura di), Fare Laboratorio, La Scuola, 2012.
[12] F. Seghezzi, Lavoro e relazioni industriali nell'Industry 4.0, cit., p. 180 ss.
[13] Z. Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà, cit., p. 56.
[14] X. Emmanuelli, «La maladie du line», in Le Monde, 15/4/1997.
[15] Z. Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà, cit., 73.
[16] C. Castoriadis, The Imaginary Institution of Society, trad. ingl. K. Blamey, Cambridge, 1987, p. 157 ss.
[17] L. Vizzoni, Badge, algoritmi e identificazione dei lavoratori: la cassazione e il trattamento dei dati biometrici, in Resp. civ. e prev., 2019, p. 1227 ss.; S. Ortis, Biometria e videosorveglianza nella lotta all'assenteismo dei dipendenti pubblici: uno sguardo alla legge concretezza n. 56/2019, in Riv. dir. lav., 2009, p. 429 ss.
[18] C. Zoli-E. Villa, Gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, in AA.VV., Controlli a distanza e tutela dei dati personali del lavoratore, a cura di P. Tullini, Torino, 2017, 127 ss.; M. Marazza, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), in Arg. dir. lav., 2016, p. 505 ss.; R. Del Punta, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro (art. 23, d.lgs. n. 151/2015), in Riv. it. dir. lav., 2016, I, p. 77 ss.
[19] Cfr. amplius S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri, Luiss University Press, 2019.
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