Crisi nel settore delle tlc: scenario e prospettive

Esuberi Telecom, cessione Tiscali, asse Wind-3 sconvolgono lo scenario già critico delle telecomunicazioni. La relazione dell'Agcom fa il punto della situazione e propone soluzioni a lungo termine. Il settore è fermo e le regole dovranno cambiare

Sta vivendo un periodo di crisi quello che era considerato un settore di punta dell’economia: business plan incerti, esuberi, crisi aziendali segnano l’arresto della crescita del settore delle telecomunicazioni. Negli anni dello sviluppo, il comparto delle tlc contava più di 200 concorrenti, ma questa era, sembra, archiviata in tutti gli ambiti, dalla telefonia a Internet, e i 5mila esuberi di Telecom Italia preoccupano sindacati e lavoratori. Facendo riferimento ai dati diffusi da Assinform, nel 2006 la crescita complessiva si è fermata al 2% e nel 2007 ha conosciuto un andamento quasi piatto, pari al +0,4%. È probabile che quest’anno spunti il segno negativo. È crisi per la rete fissa (-1,5%): quando è caduto il monopolio, si registravano 238 licenze, nel 2002 il numero dei concorrenti è sceso a 70 e in quattro anni la cifra si è dimezzata.

Ed è crisi anche per la telefonia cellulare che, nonostante l’introduzione sul mercato di alcuni prodotti innovativi, come l’iPhone, o lo sforzo dei gestori di creare maggiori volumi di vendita, subisce in un anno una crescita ridotta al 2,6%.

Non deve, quindi, sorprendere la possibile creazione di un asse Wind-3 che possa portare ad una semplificazione del mercato. Wind è l’unico gestore “low tech” in Italia, privo di una rete UMTS. 3 Italia, invece, vede crescere i suoi clienti ma non riesce a far fronte agli investimenti effettuati per battere la forte concorrenza presente sul sistema di terza generazione. Anche il settore della telefonia fissa ha subito sconvolgimenti: Tele2 è stata acquisita da Vodafone; Elitel, nata da Elserino Piol, ha ceduto sotto il peso dei debiti accumulati per accedere alla rete Telecom; Eutelia, la compagnia dei Landi, dopo la campagna di acquisizioni fa i conti con la crisi (è scattato il ricorso al contratto di solidarietà per 2200 dipendenti); sta per chiudersi l’era di Soru alla Tiscali. Se non dovesse farcela, Telecom Italia, potrebbe passare sotto bandiera straniera, si parla di Swisscom-Fastweb, Vodafone o BskyB di Murdoch. Più difficile sarebbe per British Telecom: i sindacati sono allarmati per le strategie del gruppo inglese che comporterebbero esodi incentivati e trasferimenti nelle sedi di Roma e Milano per 250 persone e trattative con Alcatel-Lucent per l’esternalizzazione di parte delle attività di rete.

Non si sa ancora se le nuove tecnologie possano dare un contributo al rilancio del settore, è certo però che alcune innovazioni non scaldano il mercato. Sul telefonino-tv Dvb-h continua a credere solo 3 italia e deludono le aspettative anche l’Ip-tv, con poche centinaia di migliaia di utenti divisi tra Telecom e Fastweb, e il sistema per Internet senza fili WiMax. Il presidente dell’Autorità per le telecomunicazioni, Corrado Calabrò, parla della necessità di potenziare la rete a banda larga collaborando con il ministro Scajola e gli operatori del settore. Nella relazione Agcom 2008, che riguarda le attività svolte e i programmi di lavoro, presentata il 15 luglio in Parlamento, il primo problema che emerge è quello delle infrastrutture: «nel campo delle comunicazioni elettroniche, come in quello dell’energia, dello smaltimento dei rifiuti, dell’alta velocità ferroviaria, delle metropolitane e altri. Dobbiamo deciderci a decidere: o stiamo al passo coi tempi o l’involuzione ci aspetta dietro l’angolo».

La relazione parte da un’analisi dello scenario italiano dove «lo sviluppo nel settore delle telecomunicazioni è stato, fino a tempi recentissimi, a getto continuo». L’Italia è il paese con la più alta diffusione al mondo di telefoni cellulari (uno e mezzo per abitante), è all’avanguardia nell’innovazione ed evoluzione tecnologica, proponendo offerte come triple pay, quadruple pay, convergenza tra fisso e mobile, e si colloca al primo posto in Europa e al secondo nel mondo per la diffusione dei servizi mobili di ultima generazione (UMTS). Inoltre, con un fatturato di 1,2 miliardi di euro e un tasso di crescita del 15%, rimasto quasi invariato rispetto al 2006 (rapporto 2008 dell’Osservatorio sul settore del Politecnico di Milano), è leader mondiale nel mercato dei contenuti e servizi per la telefonia mobile.

Data la presenza di investitori stranieri e multinazionali (Vodafone, British Telecom, Telefonica, Swisscom, Wind, Hutchinson Wampoa), il mercato italiano è aperto, concorrenziale, con un sistema regolatorio tra i più avanzati ed è il quinto al mondo «per fatturato pro-capite e il primo nel mondo per quanto riguarda i servizi voce di telefonia mobile», sottolinea ancora Calabrò. Il discorso si sposta poi sui prezzi che, se aumentano per tutti gli altri servizi di pubblica utilità, subiscono, in controtendenza, una contrazione nel settore delle telecomunicazioni. Infatti, solo nell’ultimo anno, la diminuzione dei prezzi è stata nel complesso dell’8%, giungendo nel mobile al 14,6%. Va anche considerato che con Delibera n. 305/8/CONS del 21 maggio 2008, l’Autorità ha approvato uno schema di provvedimento per un’ulteriore riduzione delle tariffe di terminazione della telefonia mobile. Nel 2011 le tariffe dei tre principali operatori dovrebbero subire ribassi di circa 35%/40%, quindi gli 8,85 centesimi di euro per Tim e Vodafone e i 9,51 centesimi per Wind, dovrebbero ridursi a 5,9 centesimi al minuto, comportando un risparmio di 1,5 miliardi di euro per i consumatori.

Ma dinanzi alla vivacità del mercato delle tecnologie e dei servizi mobili, non si può trascurare la situazione di Telecom Italia, la cui quota di mercato pari al 64%, a fine del 2007 è «superiore a quella degli altri incumbent europei». Per questo motivo e per eliminare alla radice la possibilità di comportamenti anticompetitivi l’Autorità «ha intrapreso un processo verso condizioni di organica parità di trattamento nell’accesso alla rete locale dell’incumbent». Per cui, Telecom Italia, ha presentato settantadue impegni, divisi in dieci gruppi, per il superamento dei problemi concorrenziali. Tali impegni non sono immodificabili, l’Autorità li valuterà insieme a tutti gli attori del mercato e, se approvati, diventeranno definitivi e vincolanti.

È quando si parla di “prospettive” che il discorso diventa più difficile perché occorre un “cambio di velocità”. In altri termini, l’incalzante richiesta del mercato è rivolta alla banda larga e ultra-larga. Calabrò nota che la popolazione che è oggi in una situazione di “digital divide infrastrutturale”, ossia non in grado di accedere, nemmeno potenzialmente, a servizi broadband di prima generazione è pari a 3,4 milioni di individui, con una riduzione di circa tre milioni rispetto al 2006. A fine 2007 gli abbonamenti broadband hanno superato la soglia dei 10 milioni, con un tasso di crescita del 20% nell’ultimo anno, ai quali si aggiungono gli oltre 400 mila nuovi abbonati registrati nel primo trimestre di quest’anno. La penetrazione della banda larga è però ferma al 17,8%, contro una media Ue del 23,3% e superiore al 30% nei Paesi asiatici (Giappone, Corea, Singapore e Taiwan).

L’Italia , ultima nel G7, è in ritardo non solo in termini di diffusione della tecnologia, ma anche di qualità delle connessioni broadband, più lente che altrove: solo il 27% degli utenti dichiara di avere connessioni con capacità di banda superiore ai 4 Mbps, contro il 41% degli Stati Uniti, il 46% di Germania e Regno Unito, il 54% della Francia e l’86% del Giappone. Tale scenario pone con forza la questione della creazione di nuove reti trasmissive a larga banda, perché lo sviluppo del settore passa attraverso la realizzazione di queste infrastrutture, traino dell’intero sistema economico nazionale. Gli analisti indicano che nel 2011 servirà una capacità di banda di almeno 50 Mbps, rispetto agli attuali 3-8 Mbps. Per fare ciò occorre la cablatura in fibra ottica. In Italia, per la realizzazione, servono dagli 8 ai 15 miliardi, ma a causa della bassa redditività a breve termine dell’infrastruttura, «le tradizionali regolamentazioni proattive possono apparire non sufficientemente incentivanti», mentre l’intervento diretto dello Stato, nel quadro delle attuali regole comunitarie, «è consentito solo nelle cosiddette aree bianche (a rada utenza) e, a certe condizioni, in quelle “grigie” (con carenze di utenza); non invece in quelle nere (competitive e ad alta densità d’utenza)».

Con il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008 il Governo, secondo l’Autorità, ha fatto la scelta giusta, ammettendo una semplice DIA (denuncia d’inizio attività) per l’effettuazione dei lavori di scavo, consentendo la condivisione dei cavidotti e rendendo più agevole il collegamento degli edifici con fibra ottica. Ma è necessario anche stimolare «la sinergia con le Regioni e le Amministrazioni locali, specialmente con i Comuni» per prevedere «il collocamento della fibra ottica nelle nuove urbanizzazioni, la posa della fibra nella pianificazione della manutenzione ordinaria delle strade, all’atto dello scavo di un tunnel per la metropolitana o della posa di un cavo elettrico o della realizzazione di una condotta idrica o di una fognatura», solo così si potrebbe ottenere un’enorme riduzione di costi e tempi.

È importante fare ciò se si vuole davvero ripartire e lo si può fare attraverso le «infrastrutture a banda ultra larga» che «rappresentano l’avvenire dei sistemi economici avanzati» e «sono le autostrade della comunicazione del ventunesimo secolo».

Calabrò insiste sulla necessità di questi interventi per uscire dalla crisi, perché «il dibattito non è incentrato sul se, ma sul come e sul quando realizzarle».